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Teatro Presente: Semidei, di P. L. Pisano

  • giadavicenzi1
  • 2 mar
  • Tempo di lettura: 4 min

Ho visto in scena dèi; poi persone; poi soldati. Ho visto in scena storie. Mai una volta, ho visto in scena attori.

 

È così che Semidei di Pier Lorenzo Pisano mi ha tenuta ferma sulla poltrona del Teatro Studio Melato per un’ora e quarantacinque minuti. Ero sballottata, ero su una nave, in balia delle onde del mare: prima a Ftia; poi a Itaca; poi a Troia; poi a Sparta; poi a Micene; poi ad Aulide; poi ancora a Sciro. Nel susseguirsi di un movimento imperfetto, eccentrico, dolce, sagace, aggraziato, dirompente, unico. Questo è Semidei, è una scossa allo stato puro.

 

Per anni ho avuto un’attrazione magnetica verso la classicità greca, il desiderio di approfondirne le trame, e alla fine è cosa che ho sempre rimandato. Nessun film, nessuno spettacolo teatrale sull’argomento è mai riuscito a portarmi seduta, ferma, in platea. Finché un giorno, camminando per Brera, la mia attenzione è stata catturata dalla parola “Semidei”. Era lì, davanti a me, in verticale, ancorata al muro del Piccolo Teatro Strehler e si muoveva con il vento: era come la vela di una nave. Mi stava svelando il futuro di ciò che sarebbe stato, per me, il 23 febbraio. L’ultima replica di questa rappresentazione, che ha animato lo Studio per più di due settimane, e parte integrante del libro di Pisano, Per il tuo bene, edito da Einaudi.

 

Ho visto in scena dèi e figli degli dèi; poi gente comune. Sono caduta nella sabbia, mi ha assorbita e quando sono rinvenuta, ero finita direttamente in Grecia. E se non sapessi nulla di teatro, direi che sono stati pazzi a stare a un metro da noi per tutto il tempo. L’assenza quasi totale del palco, della sopraelevazione, rende tutto più crudo e potente. Qui gli attori non sono divinità lontane, ma presenze vive, tangibili. Un’operazione che mi ha ricordato il teatro povero di Jerzy Grotowski, dove lo spazio scenico diventa organismo vivo, dove la recitazione è carne, respiro, sacrificio. Il pubblico è immerso, inglobato nella narrazione: la storia non è più un ricordo, ma un’esperienza.

Si potrebbe pensare che un’opera debba essere sempre innalzata sul palco. La verità è un’altra: è così che gli dèi erano tra noi perché è così che ci rendiamo conto che noi siamo gli dèi, i loro figli; che siamo madri, mogli, mariti, fratelli. Persone comuni. Strehler diceva che il teatro è un atto di memoria: qui, in Semidei, il mito non è un racconto statico, ma un’eco che rimbalza tra passato e presente, una domanda che ci interroga sul nostro essere umani. Gli dèi non sono lassù, irraggiungibili: sono tra noi, perché noi siamo loro.


Un palcoscenico teatrale completamente ricoperto di sabbia del mare
Semidei, dettaglio del palcoscenico con sabbia - Teatro Studio Melato, Milano — ph. Giada Vicenzi

La cruda vera verità dell’essere privati dell’immortalità, come rimarca Achille (Eduardo Scarpetta) nella scena di apertura, urlando alla madre Teti (Pia Lanciotti): «Perché non mi hai immerso il tallone? Se ci pensi era ovvio che non sono protetto nel punto dove mi tenevi con la mano, no? E quindi tutta questa storia di essere immortale che senso ha, se c’è il tallone scoperto, non capisco... bastava poco, bastava pensarci un attimo», per ricordarci che nella vita siamo tutti uguali, paurosi di fronte alla morte, ricolmi di speranza verso la vita.

 

Achille e Teti sono sdraiati per terra, fuori dal palcoscenico
Achille e Teti (Eduardo Scarpetta e Pia Lanciotti) — ph. Giada Vicenzi

Se è così che era la Grecia, allora mi sono persa molto. Perché mi sono divertita, e anche tanto, a vedere dèi come uomini, dèi come soldati. Dèi come persone comuni.

La crudeltà della vita si sprigiona nei corpi degli attori, che si muovono in uno spazio scenico che è quasi un campo di battaglia. Il loro corpo diventa testo, racconto, rito. Forse, come direbbe Eugenio Barba, è proprio nel superamento della tecnica che si manifesta la verità del gesto teatrale. Il movimento non è solo estetica, ma narrazione. E se fosse stato per me, mi sarei buttata in mezzo a loro. Perché sono come loro, volente o nolente: mezza dèa, mezza umana. Soffro, rido, e combino guai come tutti, ma mi sento immortale difronte alla vita, perché lo vorrei essere: vorrei sconfiggere la morte, o almeno non averne paura, mentre sogno e vivo. Ed è forse questo che Pisano ci ha voluto mostrare: come siamo uomini in mezzo agli dèi e dèi in mezzo agli uomini, cercando la scintilla di verità in quella smisurata preghiera che è la vita (ciao Faber, sei sempre con me).

 

Se non altro, ora ho capito l’antichità greca: sabbia e ricordi. E forse non è questo il senso di ogni granello che scorre? Come dice Blake: Vedere il mondo in un granello di sabbia...

 

I capricci, le urla, il dolore, le lacrime, la gioia, le risate. L’immagine, potentissima, dei reduci: uomini che vagano tra le macerie di una guerra che non ricordano nemmeno più. E poi, il silenzio della spiaggia, con i due fratelli, Agamennone e Menelao (Marco Cacciola e Pierluigi Corallo), che osservavano il mare. Qui il teatro diventa specchio di ogni conflitto, di ogni esercito tornato a casa con le tasche vuote e lo sguardo perso. In questo, c’è un’eco brechtiana: il mito non è solo memoria, è anche denuncia.

 

Agamennone e Menelao sono insieme, sulla spiaggia
Agamennone e Menelao, scena finale — ph. Giada Vicenzi

Giuro, ero in Grecia.

Se non bastasse ciò, folgorata dalle opere d’arte che mi venivano proposte durante la rappresentazione: De Chirico? De Chirico, sì.

 

Tutti gli attori in scena, sulla sabbia, scena finale
Semidei — ph. Giada Vicenzi

E se anche non lo fossi stata, mi ci avete trascinato voi (a forza). Perché noi, che siamo seduti sulle nostre poltrone, siamo in attesa del potere catartico che possiede la rappresentazione teatrale, e aspettiamo solo il momento esatto in cui aprirci e lasciarci offrire tutto, dal teatro. Tutto quello che il teatro può dare.

 

Con questo articolo, inauguro oggi la rubrica teatrale "Palcoscenico Presente", un nuovo spazio per raccontare la magia della scena, per esplorare spettacoli che lasciano il segno, per immergerci nella potenza della narrazione dal vivo.

 

Con affetto,


Giada Vicenzi

La Editor Impostora



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